Palazzo e collezioni

Le collezioni

Il Museo espone materiali portati alla luce in oltre cent’anni di ricerche archeologiche.

 

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Esplora il museo e ascolta la storia più antica del territorio veronese

Il Paleolitico

Il racconto della preistoria veronese non può che iniziare dal comparto dei Monti Lessini, che nel Paleolitico erano caratterizzati da periodi di espansione dei ghiacciai, intervallati da momenti con un clima più mite. Le ricerche archeologiche raccontano la grande capacità dell’Uomo di Neanderthal e dei primi Homo Sapiens di adattarsi a condizioni climatiche variabili, per lunghi periodi estreme, mettendo così alla prova generazioni di individui in un ecosistema mutevole. Luoghi chiave per esplorare il Paleolitico nel veronese sono la grotta di Fumane e Riparo Tagliente, cui sono dedicate le prime due sale del Museo.

 

Da non perdere: lo ‘Sciamano’ di Fumane. Questa pietra è un notevole esempio di arte figurativa dei primi Sapiens. Raffigura una sagoma umana con due ‘corna’ sul capo ed è stata interpretata come uno stregone o uno sciamano. Risale a circa 38 mila anni fa e doveva essere originariamente dipinta sulla volta della grotta, in seguito crollata per cause naturali.
Lo sciamano di Fumane

Lo sciamano di Fumane

Il Neolitico

Nel Neolitico i gruppi umani modificano il tipo di sussistenza, passando da un sistema basato su caccia e raccolta all’utilizzo di agricoltura e allevamento. Questa trasformazione è accompagnata da altre innovazioni tecnologiche, come la lavorazione dell’argilla (per la produzione di vasi di ceramica) e della pietra levigata (per asce e ornamenti) e l’introduzione della tessitura. Compaiono insediamenti all’aperto più ampi e aumenta il sistema di scambi. Nel territorio veronese sono stati rinvenuti diversi abitati riferibili al Neolitico Medio (5500-4900 a.C.), localizzati in modo tale da poter sfruttare contemporaneamente sia la pianura per le attività agricole sia gli affioramenti di selce dei Lessini.

 

Da non perdere: la ‘Venere’ di Rivoli Veronese. La statuetta rappresenta una forma di ritualità legata ai cicli stagionali propri del mondo agricolo, basata sul ciclo vitale di morte e rinascita. La figura, che è stata interpretata come una ‘dea madre’, è rappresentata stilizzata e caratterizzata da pochi tratti (braccia piegate ad angolo, accenni della capigliatura).

La Venere di Rivoli Veronese

La Venere di Rivoli Veronese

Età del Rame

In Italia settentrionale, tra il 4° e il 3° millennio a.C. si afferma l’uso di una nuova tecnologia in grado di utilizzare una materia prima – il rame – per realizzare oggetti. Nella fase finale, tra il 2500 e il 2000 a.C., è riconoscibile in tutta l’Europa continentale la diffusione di elementi comuni, come la tipologia di vasi dalla caratteristica forma a “campana rovesciata” (“bicchieri campaniformi”) e di elementi simbolici di potere e prestigio, che suggeriscono un’integrazione culturale tra le diverse società europee dell’epoca.

 

Da non perdere: le stele antropomorfe. Le statue-stele in esposizione, rinvenute a Spiazzo di Cerna (Sant’Anna d’Alfaedo) e Sassina di Prun (Negrar), sono caratterizzate da un corpo cilindrico, un disco piatto a formare la testa ed il viso stilizzato. Provengono da contesti funerari e probabilmente fungevano da segnacoli delle tombe o da installazioni con un particolare significato simbolico.

Stele antropomorfa

Stele antropomorfa

Età del Bronzo

Nel periodo che va dal 2100 a circa il 950 a.C., in Italia settentrionale si affermò e si diffuse in maniera consistente l’utilizzo del bronzo, una lega formata da rame e stagno.

 

Nell’età del Bronzo antico (2100-1650 a.C.) sorsero importanti villaggi, in alcuni casi palafitticoli. Nell’età del Bronzo medio (1650-1350 a.C.) si svilupparono i primi villaggi circondati da argine e fossato, ma è soprattutto nell’età del Bronzo recente (1350-1150 a.C.) che il territorio vide un’esplosione demografica e lo sviluppo di grandi siti arginati, soprattutto nell’area delle Valli Grandi Veronesi. Nell’età del Bronzo finale (1150-950 a.C.), dopo una fase di crisi si ebbe un generale riassetto del territorio, con la fioritura degli insediamenti di Gazzo Veronese e Oppeano, che saranno importanti anche nella successiva età del Ferro. Il Museo espone anche una selezione di materiali provenienti da alcune tra le necropoli più ricche ritrovate nel territorio veronese, come Cellore d’Illasi, Olmo di Nogara, Scalvinetto e Desmontà di Veronella.

 

Da non perdere: i materiali dalle palafitte. Le condizioni di conservazione in ambiente umido hanno permesso la sopravvivenza di materiali organici, che normalmente si degradano, che ci aiutano a comprendere la vita dei gruppi umani in questo periodo. I materiali esposti in Museo provengono da alcuni siti palafitticoli che nel 2011 sono entrati a far parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità.

Età del Ferro

Oltre all’utilizzo del ferro, in quest’epoca le società diventarono via via più articolate e si svilupparono le prime vere e proprie forme urbane. La fascia pedemontana del territorio veronese (Lessini, Valpolicella e colline dell’est veronese) è legata al mondo retico alpino; mentre la bassa pianura vide la nascita di due centri afferenti alla cultura dei “Veneti antichi”: Gazzo Veronese ed Oppeano. Tra 7° e 5° secolo a.C. Gazzo Veronese diventò la vera e propria testa di ponte delle popolazioni venete con il mondo etrusco.

 

Tra la fine del 5° e gli inizi del 4° secolo a.C. nel territorio veronese si stanziarono popolazioni di Galli Cenomani (“Celti”) venuti d’oltralpe. Poco si conosce dei loro insediamenti, ma i corredi delle sepolture mostrano l’abbondante presenza di armi e di elementi tipici del banchetto, insieme a una graduale assimilazione di modelli culturali, monete e materiali dall’Italia centrale.

 

Da non perdere: la tomba del ‘principe bambino’ di Zevio. Un ritrovamento eccezionale nella necropoli di Lazisetta di Zevio è la sepoltura di un bambino di 5-7 anni, indubbiamente di lignaggio principesco, le cui ceneri furono deposte assieme ad un sontuoso carro da parata e ad un ampio corredo tipico solitamente dei guerrieri adulti. All’interno di alcuni vasi erano residui di ossa di maiale, resti del banchetto funebre.

Il Palazzo

Il complesso architettonico rappresenta una delle testimonianze di architettura civile austriaca meglio conservate di Verona.

Prima dell’edificio attuale, l’area attigua alla chiesa quattrocentesca dedicata a San Tomaso Becket era occupata da un convento dei Carmelitani Calzati, risalente al 13°-14° secolo, poi demanializzato in epoca napoleonica. Tra il 1844 e il 1848, durante la dominazione austriaca, la struttura venne riconvertita a luogo di detenzione, dove vennero rinchiusi molti sovversivi in seguito ai moti carbonari. Furono processati e detenuti qui personaggi di spicco del Risorgimento veronese ricordati tra i “Martiri di Belfiore”: un gruppo di patrioti condannati all’impiccagione a Mantova tra il 1852 e il 1855 per ordine del governatore generale del Lombardo-Veneto, il feldmaresciallo Josef Radetzky, accusati di incitamento alla diserzione.

Intorno al 1860 la struttura fu demolita e venne costruito ex novo il carcere asburgico di San Tomaso, ovvero l’edificio attualmente esistente.

Con il passaggio all’Amministrazione statale italiana, l’immobile divenne sede del comando della Divisione territoriale e successivamente di uffici finanziari.

L’apertura del museo, dopo lunghi lavori di restauro dell’edificio, è avvenuta a febbraio 2022.